Pubblicato da: F.C.N. | 1 Maggio 2019

25 anni di Abastor

Abastor #0, il primo numero del 1994

1994-2019: 25 anni di Abastor. Non voglio tediarvi nuovamente con la storia di Abastor che ho già raccontato innumerevoli volte, ma in due parole, per chi ancora non lo sapesse: 25 anni fa, nel maggio 1994, nasceva la fanzine Abastor. All’inizio era un foglio A3 di mailart, poesie e avanguardia, ma ben presto (grazie allo stimolo fornitomi dall’indimenticato Tommaso Labranca) divenne una fanzine di retro cultura pop e lo rimase fino al 2010, quando la fanzine (ormai divenuta “oddzine”) chiuse definitivamente i battenti, lasciando la sua eredità al Centro Studi Abastoriani e all’Archivio Abastor.
Sono quindi 25 anni che il nome Abastor esiste. Sono circa 25 anni (in realtà un po’ meno) che mi occupo di cultura pop-apocalittica. 25 anni che scrivo di queste cose. 25 anni che scovo, recensisco, diffondo, studio materiale sonoro, visivo, stampato, come anche giocattoli e oggetti di varia natura che possano rientrare in quel gusto abastoriano che è andato a formarsi nella comunità degli abastoriani nel corso degli anni, cui abbiamo dato il nome di abastorianità. Continua a leggere…

Pubblicato da: F.C.N. | 29 giugno 2018

A Swingin’ Safari

L’LP originale

Se devo pensare a un disco che mi procuri una sensazione di rilassatezza e benessere, nessun altro come A Swingin’ Safari di Bert Kaempfert può rispondere meglio a questa necessità. Un disco di easy listening tedesca pubblicato nel 1962, dallo stile unico, vivace e originalissimo, che unisce magistralmente le radici swing del direttore d’orchestra, compositore, produttore discografico Berthold Heinrich Kämpfert – alla cui biografia, costellata di successi come Strangers In The Night, solo per dirne uno, bisognerebbe dedicare l’intero articolo perciò vi rimandiamo a una ricerca su Google – con fiati mariachi (sullo stile dei coevi Tijuana Brass di Herb Alpert, di cui Kaempfert era amico e ammiratore) e un pizzico di surf, ma, soprattutto, con la musica sudafricana kwela, creando così un sound moderno e suggestivo. Insomma, non penso di esagerare nel definirlo il più bel disco di easy listening mai prodotto e uno dei migliori album del XX secolo. Sicuramente uno dei più grandi in assoluto tra quelli pubblicati negli anni sessanta: almeno quanto un The Velvet Underground & Nico – di cui confesso aver da poco acquistato una ristampa con la banana che si “pela”: a proposito, qualcuno mi sa dire come fare per riattaccare la buccia? – e un “The White Album” dei Beatles. Continua a leggere…

Pubblicato da: F.C.N. | 20 giugno 2018

La complicata “vita” di Christine

Christine Keeler

Profumo di… scandalo

1963, un anno di cruciale importanza per la storia del XX secolo. Nell’ottobre di quell’anno, infatti, tre avvenimenti saranno destinati a cambiare per sempre le sorti dell’umanità: l’assassinio di J.F. Kennedy, la messa in onda della prima puntata della serie televisiva britannica Doctor Who e le dimissioni di Harold Macmillan, primo ministro britannico. Se, a dispetto delle prime due, la terza informazione non vi fa squillare nessun campanello è perché il povero Harold non è stato che l’agnello sacrificale dell’ultimo e più importante di una serie di scandali a sfondo sessuale che hanno travolto il suo governo: l’affair de fourroure (passatemi il francesismo imperfetto) noto ai posteri come “Scandalo Profumo“.

Al centro della vicenda più personaggi della politica e del jet set britannici, primo tra tutti John Profumo, dal 1960 Ministro per la Guerra del gabinetto Macmillan, e la liaison dangereuse che questi intrattiene con Christine Keeler. Quest’ultima è una ragazza di facili costumi (spogliarellista e modella, ma che la stampa e i procedimenti giudiziari dell’epoca ci fanno capire fare anche la “vita”) amica di Stephen Ward, osteopata e ritrattista dei VIP anglosassoni, ma con la passione per le belle ragazze disinibite, con le quali organizza orgette a beneficio di vari membri dell’élite britannica. Continua a leggere…

Pubblicato da: F.C.N. | 11 marzo 2018

Space Station 76

Dalla nascita del cinema, anzi, no, dalla nascita della fantascienza, abbiamo assistito a molteplici visioni del futuro secondo l’ottica dell’autore del romanzo o della sceneggiatura in questione, ma soprattutto secondo il gusto e la tecnologia disponibili all’epoca della sua stesura. Ogni “futuro” diventa un “futuro-passato” non appena gusti, design e tecnologie si evolvono o si involvono (nel caso del design soprattutto la seconda). Se negli anni Venti e Trenta del XX secolo assistevamo a futuri in cui si incarnavano magicamente le follie avveniristiche del futurismo (La vita futura, Aelita e, soprattutto, Metropolis), nel secondo dopoguerra, ecco che l’immaginario fantascientifico decade e si trasforma in veicolo di propaganda in clima di Guerra Fredda.

Sono le invasioni aliene a farla da padrona in quegli anni ed è quasi ozioso ricordare il loro incarnare la paura del mostro alieno comunista, smanioso solamente di invadere il mondo occidentale per annientare il suo stile di vita. In questo periodo infatti è minore la presenza di visioni future utopiche o distopiche, anzi, a ben pensarci non me ne viene nemmeno in mente nessuna, almeno fino allo stupendo L’uomo che visse nel futuro del 1960.  Qui vi ritroviamo raffigurato un futuro (avanti di centinaia di migliaia di anni!) pienamente early sixties, popolato da giovani surfisti biondi (mancano solo i Beach Boys in sottofondo) tiranneggiati da mostruosi trogloditi beat antropofagi, i celebri Morlock. Ancora negli anni Sessanta sono poche, però, le visioni del futuro degne di nota. Qualcosa vediamo nella bella serie cult creata da Irwin Allen Kronos, ma l’immaginario del futuro che si incarna in un paio di episodi poco si discosta da quello del decennio precedente e ci mostra improbabili esseri del futuro dalla pelle metallizzata, calati in scenari spogli e dotati di tecnologie esoteriche. Continua a leggere…

Pubblicato da: F.C.N. | 4 ottobre 2017

Ilona Staller (disco)

Copertina della stampa originale dell’LP Ilona Staller del 1979

Ci sono dischi che hanno fatto storia, tra di essi alcuni rappresentano per Abastor delle autentiche pietre miliari. Ilona Staller, pubblicato dalla RCA Italiana nel 1979, è probabilmente l’album più importante tra questi. Perché è stato pubblicato da una star nascente del panorama erotico italiano, successivamente la più celebre pornostar femminile degli anni ottanta (forse proprio a livello mondiale). Perché canta di erotismo, giocando con doppi sensi birichini. Perché infrange i tabù, scontrandosi con la morale cattolica bigotta dell’Italia post-boom economico, venendo censurata e avendo per questo anche problemi legali. Ilona Staller è la più importante pioniera nel suo campo in Italia. Dieci anni dopo Je t’aime… moi non plus, Ilona Staller è la portavoce di un’Italia che si vuole liberare dalle pastoie della bieca morale cattolica, del “fare ma non dire”, del nascondersi dietro le imposte socchiuse per dare sfogo ai propri istinti. Ilona Staller è l’incarnazione della Rivoluzione Sessuale italiana. E in tempi tristi come quelli odierni, in cui si censurano i capezzoli su Facebook e Instagram, il MOIGE spadroneggia liberamente, si organizzano Family Day, ricompaiono le “pecette” censorie e perfino un pilastro come Playboy [addio Hugh!] torna alla morigeratezza del vedo-non-vedo, si avrebbe tanto bisogno di altre Ciccioline pronte a immolarsi sulle barricate della Rivoluzione Sessuale. Rivoluzione che non è mai finita, dato che ancora lunga è la strada da percorrere per raggiungere lo status di nazione veramente laica ed emancipata (ho un sogno: vedere finalmente sparire i crocefissi dai locali pubblici e soprattutto abolita nelle scuole l’ora di religione, sostituita con una sana ora di educazione sessuale). Ilona dove sei? Continua a leggere…

Pubblicato da: F.C.N. | 11 settembre 2017

Citazionismo selvaggio

Ho notato una cosa. Forse anche voi l’avrete notata. Negli anni Ottanta e Novanta le televisioni musicali trasmettevano videoclip contemporanei. Cioè lo spettacolo era prevalentemente votato all’attualità. Si vedevano clip pop e new wave del momento e c’erano persino trasmissioni dedicate alla musica indie (la storica Alternative Nation di MTV, per esempio – quando ancora valeva la pena vedere MTV). Oggi ho notato, invece, che nelle televisioni musicali superstiti o programmi che mandano video all’interno del palinsesto di televisioni generaliste, si mischia il vecchio col nuovo, con tutti i pericoli che ne conseguono («Non imparano mai, vero?» «Sui pericoli del mischiare il vecchio col nuovo? No.» da Zaffiro e Acciaio), in uno shakerone infernale. Così è possibile confrontare l’eccesso della Madonna anni Ottanta con l’eccesso della Lady Gaga anni duemiladieci o il rap del 1977 fa con il rap del 2017 (non è cambiato niente, stessa solfa da quarant’anni a questa parte). Tutto ciò è curioso e segno dei tempi: da un ventennio a questa parte si continua a guardarsi indietro, consapevoli del rischio di venir tramutati in statue di sale. I motivi di questa tendenza possono essere molteplici: il pop odierno fa schifo (vero); i giovani di ieri continuano a essere assidui fruitori di videoclip più dei loro figli (anche questo è vero); le case discografiche hanno scoperto che vendono più con il materiale d’archivio che non costa niente, piuttosto che con materiale nuovo che invece costa produrre (probabile); i giovani di oggi sono più intelligenti di quelli di venti-trent’anni fa e non si limitano a consumare solo musica contemporanea ma vanno alla riscoperta anche di musica “vecchia” (potrebbe essere: vedo molti più ventenni oggi comprare dischi in vinile usati che non i loro fratelli maggiori di trent’anni o i loro genitori). Continua a leggere…

Pubblicato da: F.C.N. | 5 giugno 2017

Dance Fantasy ovvero Only You

Una delle fonti maggiori di emulazione, e quindi di trash, di tutti i tempi è stato il film La febbre del sabato sera. Fu un’emulazione strisciante, impregnante, soffocante cui non si solvò nemmeno la famiglia di Travolta (i patetici tentativi del fratello di venire a galla), né lo stesso Travolta, caduto nell’immancabile “seconda parte”. L’Italia, Paese dei grandi creativi, rispose all’appello con una serie di filmacci emulativi, di musiche imitative, di mode copiative. Tra tutti i prodotti trovo davvero raccapricciante questa rielaborazione sabatoseriana di vecchie melodie EIAR realizzata da tal Reddy Bobbio (che sia parente?). davvero una delle copertine più emulativo-fallite degli ultimi decenni. Un simbolo.
(Tommaso Labranca Andy Warhol era un coatto. Vivere e capire il trash, Castelvecchi, 1994)

Da tempo vorrei tornare a scrivere di Labranca. Ma chissà perché finisco invece a scrivere di Dance Fantasy, disco terribilmente brutto, ma proprio per questo anche tremendamente meraviglioso. E lo faccio proprio partendo dalla recensione fattane da Labranca nel suo primo libro, che mi sono trovato a rileggere di recente. Lessi la prima volta Andy Warhol era un coatto nel 1996, tuttavia dimenticai presto quella recensione di Dance Fantasy. Così, qualche anno dopo (doveva essere il 2002 o il 2003), quando mi imbattei in quell’LP al Mercatino di Treviso, avevo già compiuto un’operazione di rimozione, ma, senza aver realmente superato il trauma. L’immagine della copertina fece infatti riemergere inconsciamente la violenza visiva subita al punto da venirne ipnoticamente costretto all’acquisto, sborsando l’astronomica cifra di uno o due euro. Continua a leggere…

Pubblicato da: F.C.N. | 5 aprile 2017

La realtà virtuale col View-Master

View-Master Virtual Reality Starter Pack

Io non so cosa gli sia passato per la testa a quelli della View-Master (cioè della Fisher-Price, cioè della Mattel), avevano il loro bel visorino stereoscopico con i dischetti con le diapositive, in vita ben dal 1939, con lo stesso standard e la stessa misura di dischetti perfettamente retrocompatibili (cioè, potevi vedere i vecchi dischetti coi nuovi visori o, molto meglio, viceversa) e hanno buttato via tutto per lanciarsi nella realtà virtuale coi telefonini. Ma si può?
Facciamo un breve riassuntino per chi si fosse perso le lezioni precedenti, ma se volete potete recuperare studiandovi l’articolo su Wikipedia in italiano, che è sufficientemente completo e attendibile (e di cui siamo, per buona parte, direttamente responsabili), sempre che non vogliate prendervi la briga (e ne varrebbe la pena, credetemi, lo trovate anche su Amazon) di leggere l’ottimo View-Master Memories, scritto da Wolfgang e Mary Ann Sell. Continua a leggere…

Pubblicato da: F.C.N. | 17 marzo 2017

Heino, il Signore delle Tenebre

L’LP di Mit freundlichen Grüssen

Adoro le cover inaspettate, balzane e fuori contesto. Quelle che posso essere considerate vere e proprie rivisitazioni, forti di un riarrangiamento che stravolga il brano così come originalmente concepito e dell’esecuzione da parte di un ensemble radicalmente diverso se non opposto a quello originale. Solitamente si tratta di esperimenti estemporanei, un brano per disco, più raramente questi esperimenti formano interi album. Non stiamo parlando qui di cover band, che sono tutt’altra cosa, cioè sostanzialmente una “copia” più simile possibile all’originale offerta al pubblico in sostituzione dello stesso.
Mentre da anni è divenuta un’abitudine produrre album tributo a un celebre artista, in cui i suoi brani più noti vengano rivisitati in versioni squisitamente “rivedute e corrette”, molto più raro è che un artista pubblichi un intero album di cover. Nel primo caso sono dell’idea che il più strabiliante esempio sia quello proveniente dal mondo del metal, quando nel 2001 l’etichetta tedesca Nuclear Blast ha avuto la balzana idea di realizzare un album tributo agli ABBA, rivisitando le loro hit in chiave heavy metal: A Tribute to ABBA è qualcosa di incredibilmente spiazzante e stupefacente.
Tralasciando l’intera opera della sublime The Ukulele Orchestra of Great Britain, nel caso di album di cover provenienti dalla discografia di un singolo musicista mi vengono in mente tre grandi esempi. Il primo è il capolavoro assoluto Through The Looking Glass di Siouxsie & The Banshees del 1987, uno dei più bei dischi usciti negli anni Ottanta e uno dei migliori del gruppo di Susan Ballion. Il secondo è Nouvelle Vague, pubblicato nel 2004 dall’omonima formazione francese che si occupò di rivisitare in chiave lounge alcuni grandi classici punk e new wave. Il terzo è quello del cantante tedesco Heino, che voi ben sapete quanto Abastor adori e sia una delle poche voci italiane – assieme forse solo a Orrore e 33 giri – a divulgarne l’opera: Mit freundlichen Grüssen (letteralmente “Cordiali saluti”), un album di cover di brani hard rock, eseguiti non in versione Schlager, come ci si potrebbe aspettare da lui, ma proprio in versione rock! Continua a leggere…

Pubblicato da: F.C.N. | 17 febbraio 2017

7 uomini d’oro

Locandina del film 7 uomini d'oro

Locandina del film

Allora, ci sono: un inglese, un tedesco, un italiano, un portoghese, un irlandese, uno spagnolo, un francese e una donna fatale e attraente. La premessa, che parrebbe quella di una barzelletta sconcia, è invece il perno attorno a cui ruota una delle più riuscite commedie crime-spy-sci-fi italiane degli anni sessanta: il film 7 uomini d’oro diretto da Marco Vicario nel 1965.
Marco Vicario, ex attore divenuto in seguito produttore e regista, mette al centro della trama la propria stessa bella moglie, l’attrice Rossana Podestà, che si ricorda facilmente per aver interpretato tutta una serie di sandaloni come Ulisse, Elena di Troia Sodoma e Gomorra, ma che negli anni settanta legherà il proprio nome anche a quella commedia sexy, sovente diretta dal marito, che scava nei torbidi meandri dell’erotismo provinciale, senza tuttavia mai spogliarsi, ma facendo solamente intravvedere e immaginare, e riuscendo forse proprio per questo ben più attraente di tante altre attrici che invece ci hanno fatto vedere (quasi) tutto.
Successivamente a 7 uomini d’oro Marco Vicario si è poi dedicato infatti per tutti gli anni settanta a esplorare il rapporto tra sesso e italianità in tutta una serie di commedie erotiche efficaci e di buon gusto, trasponendo in pellicola anche soggetti tratti dai lavori di Piero Chiara (Homo Eroticus, 1971 e Il cappotto di Astrakan, 1979) e Vitaliano Brancati (Paolo il caldo, 1973). Divenendo così uno dei principali testimoni di quella felice stagione cinematografica italiana indagatrice dell’ipocrisia dalla doppia moralità e della morbosità per il sesso tipica della provincia italiana. Cinematografia che negli anni settanta ci ha regalato tanti film, alcuni autentici capolavori, altri pretestuosi e scadenti, ma quasi sempre divertenti, godibilissimi e allietati da colonne sonore meravigliose. Continua a leggere…

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